Di Savino Pezzotta – da “Liberal” del 15/02/2011, pagg. 6-7
Ho pensato a lungo prima di partecipare alla manifestazione delle donne: temevo di ritrovarmi in una delle solite iniziative antiberlusconiane che ormai, è costatato, producono ben poco. Ad andarci mi ha convinto la lettura sui giornali del resoconto dell’iniziativa di Giuliano Ferrara a Milano. Non mi sono piaciuti il tono volgare e la contrapposizione tra peccato e puritanesimo. Una banalizzazione che sconcerta.
Per i cristiani l’idea di peccato è qualche cosa di molto profondo e si basa su una antropologia, su un modo di pensare l’uomo nella sua relazione con Dio, Gesù Cristo e il prossimo. Dire: «Siamo tutti peccatori» per discolparsi è una grande mistificazione che contrasta con l’idea di peccato che noi cristiani abbiamo, è un modo per far passare l’idea che nonostante tutti i “peccatucci” non ci siano problemi e che tutto sia a posto: è un modo di confondere l’idea di peccato con quella di reato. Riconoscersi come peccatori e penitenti è un atto esistenziale che si fa di fronte a Dio e che esige non solo il pentimento ma anche il risarcimento nei confronti del prossimo.
Su un altro piano si pone il rapporto del cittadino con le leggi che regolano il vivere civile. È chiaro che ogni infrazione della legge è un reato e non un peccato. Quando ci si trova di fronte ad un accusa di reato si ha l’obbligo di difendersi nei luoghi deputati a svolgere questo compito, invece di invocare una sorta di assoluzione morale che nessuno può dare. Ferrara farebbe meglio a consigliare il Premier a difendersi in tribunale, come hanno fatto tanti personaggi della politica prima di lui e come i comuni cittadini sono giustamente obbligati a fare. L’andazzo odierno porta tutti a chiudere un occhio sulle trasgressioni, sperando così che anche le nostre siano tollerate e che è meglio non ”alzare polveroni”. La disponibilità a tollerare e ad indulgere è considerata una virtù, mentre cercare faticosamente di vivere secondo chiari principi di giusto e di sbagliato è considerato vivere da moralisti e puritani. Questo è il frutto di un relativismo pratico che ha coinvolto tutti e che intimidisce le capacità del discernimento. Oltre ad aver mistificato e confuso l’idea di peccato, l’altra deformazione concettuale è l’impeto scatenato contro i puritani. Mi ha stupito in questi giorni, che in relazione ai «festini innocenti in villa» che ci hanno raccontato i giornali, le televisioni e i vari siti internet, oltre a riviste prodighe di foto e confessioni, vedere un adeguamento di pensiero, a destra e a sinistra, sull’uso negativo del termine “puritano”. Forse sarebbe bene che si chiarisse di cosa si tratta quando si parla di puritani. Sappiamo tutti che era una corrente importante del protestantesimo, che, con il suo rigore, contribuì non poco – soprattutto nel mondo anglosassone – a fare affermare il ruolo dei parlamenti contro le monarchie assolute. Puritani furono i Padri Pellegrini e i fondatori degli Stati Uniti, a cui gli antipuritani dicono di guardare con attenzione. Erano persone determinate e perseguivano un’idea di etica pubblica che non andrebbe disprezzata perché basata sull’uguaglianza, la responsabilità, il valore della persona, la difesa della libertà, la tolleranza e la valorizzazione del lavoro.
Anche nel mondo cattolico, che si tende a far passare un poco più lassista per giustificarsi, non mancarono persone e movimenti esigenti sul piano morale, dell’etica pubblica, del valore della famiglia, della singolarità e irriducibilità dell’umano a cosa o merce, del rispetto delle leggi e del prossimo. De Gasperi, Sturzo, Giordani, La Pira, tanto per citarne alcuni, furono dei puritani o degli esempi da imitare? Quello che viene indicato, con la puzza al naso, come puritanesimo altro non è che lo sforzo dei cristiani e delle persone di buona volontà di agire tenendo a mente il bene e il male. Con questo non voglio dire che i cristiani siano tutti perfetti, anzi, come diceva Leon Bloy: «Viviamo una tristezza: quella di non essere santi». Ed è per questo che siamo più restii di altri ad andare in giro con l’indice puntato e a condannare e giudicare. In fondo, per la nostra visione dell’umano, siamo e restiamo dei garantisti. Come cittadino italiano non aspiro alla repubblica dei puritani, ma non vorrei arrendermi a quella dei libertini: mi accontenterei di un poco di onestà e di pudore intellettuale. Questo sbeffeggiamento mutandiere e da neosanculotto (altro che foglianti) mi ha profondamente irritato e allora ho ritenuto giusto andare in piazza con le donne.
È stata veramente bella la manifestazione delle donne a cui ho partecipato a Bergamo. Non è che in quella piazza dove ci si è convocati mancassero faziosità e pregiudizi. Questa iniziativa mi ha fatto pensare che se esistono ancora persone che credono nella dignità e nell’uguaglianza come obiettivo da perseguire con attenzione e coraggio, si può sperare. Ci dobbiamo rendere conto che oggi in Italia la donna ha meno diritti nel lavoro, nella politica, nella società: tant’è che, per esempio, la percentuale di donne in politica (16% nell’attuale parlamento italiano) e nei posti dirigenziali (circa il 10%) è veramente ristretta rispetto alla parte maschile. Ancora oggi in Italia le donne subiscono violenza dentro le mura domestiche (6.500.000 donne hanno subito almeno una volta nella vita violenza fisica o sessuale). Quando si parla di parità e di donne, emerge sempre qualche notazione polemica nei confronti del mondo cattolico e della Chiesa. Mi è stato più volte rimproverato di aver fatto da portavoce del family day, quasi che quella manifestazione fosse portatrice di una visione patriarcale e arcaica della famiglia, ignorando che una delle cause delle disparità, che ancora esistono dentro la famiglia, è dovuta in buona parte all’assenza di chiare politiche per la famiglia e all’assenza di percorsi educativi. Inoltre, va ricordato che alcuni dei ritardi di cui il mondo cattolico si è reso colpevole nei confronti delle donne, sono stati affrontati e superati dall’insegnamento di Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Non dimentichiamo la lettera apostolica Mulieris dignitatem più volte citata da Benedetto XVI. In questi anni, ad opera delle donne stesse, l’attenzione al”genio femminile” è cresciuta dentro la Chiesa: a riprova di ciò bastava ascoltare le religiose intervenute ieri nelle manifestazioni per coglierne tutta la portata e il vento nuovo che soffia dentro la comunità ecclesiale.
È stata una manifestazione che ha mostrato un volto nuovo e diverso del nostro Paese. Ora sarebbe sbagliato attribuirla a questa o a quell’altra parte e racchiuderla negli schieramenti della politica. Bisogna evitare che il senso profondo di queste piazze sia stravolto. C’erano tante ragazze giovani, con le loro sciarpe bianche, festose e serene che chiedevano un progetto per il futuro, una proposta fondata sulla dignità della persona. Ho imparato fin da ragazzo che le manifestazioni non si giudicano ma si devono comprendere, si deve sempre capire cosa esprimono anche quando manifestano idee e principi diversi dai tuoi. Mi sono riconvinto che solo una reale uguaglianza tra le persone, tra uomini e donne potrà umanizzare tutta la società. È nel mantenere viva questa tensione che si potranno gettare semi di speranza e tornare con passione a investigare sul nostro presente per poter parlare di futuro con speranza, mitezza e tenerezza, lasciando che i mutandieri curino le loro mutande.
Caro Savino non posso che essere d’accordo siamo infatti chiamati a fare il bene!
Porgere l’altra guancia, come recitava il Vangelo di domenica scorsa, non è un atto di rassegnazione o di codardia ma è testimonianza “puritana” di ravvedimento non solo per chi colpisce.
Saluti
Non ho potuto partecipare alla manifestazione delle donne ma ho condiviso tutte le ragioni per le quali è stata promossa e grande è la mia soddisfazione per la sua riuscita.
Vorrei aggiungere alle riflessioni di Savino, che condivido pienamente, una valutazione su quanto pubblicato sul n° 7/2011 di Famiglia Cristiana in merito ai giudizi dei cattolici praticanti sulle recenti vicende di Arcore che, credo, si possano equiparare con quelli sulla manifestazione delle donne, oppure su Giuliano Ferrara, le sue iniziative e i contenuti che propone,
Dai sondaggi riportati da Famiglia Cristiana emerge, in merito ai festini di Arcore, che il mondo cattolico è spaccato a metà: tra chi va a Messa alla domenica il 28% è indulgente verso Berlusconi, il 16% continua ad ammirarlo, il 6% si dichiara ancora suo tifoso, mentre gli indignati sono il 13% e i critici il 37%. Ma il dato di maggior rilievo è che i tolleranti delle recenti vicende di Arcore abbondano più tra i cattolici praticanti regolari che tra i non credenti e praticanti occasionali.
Franco Garelli, che firma il pezzo di Famiglia Cristiana, afferma che questo “è uno scenario inquietante” e pone una domanda “non è che la Chiesa ha sbagliato qualcosa nell’educare i suoi fedeli?”.
Aggiunge Garelli: “se gli occhiali dei cattolici si appannano sino al punto di non vedere il danno etico che deriva al Paese e ai giovani, vuol dire che c’è qualcosa che non va in “casa propria”.
Può non piacere ma questa è purtroppo l’immagine che di sé dà il mondo cattolico. Tutto ciò merita grande attenzione e sollecita una profonda riflessione perché la risposta alla domanda di Garelli passa attraverso ciò che una volta si chiamava “esame di coscienza” e investe la Chiesa tutta: Gerarchia, Clero e Fedeli, ben sapendo che ognuno di questi livelli ha la sua responsabilità e che sul piano educativo più alto è il livello maggiore è la responsabilità.
R. Vialba
Questo è parlare chiaro!
La difficoltà ad arrivare con chiarezza all’ intelligenza , ed alla coscienza, delle persone è probabilmente uno tra i maggiori ostacoli al rinnovamento del dialogo. Per lo più ci si limita a costruire le opinioni su informazioni povere di contenuto, che inducono a semplificare e ridurre in categorie concettuali il nostro pensiero, favoriti da format mediatici sempre più esigenti di sintesi ed in cui la difficoltà ad argomentare ed approfondire esalta il ruolo delle tecniche di comunicazione, anche nelle rubriche televisive o giornalistiche cosiddette “di approfondimento”. E così si costruiscono adesioni di pensiero attorno ad accezioni di errato significato, come nel caso di peccato e puritanesimo, divenute “luoghi comuni” utili ad aggregare attorno alla propria tesi. Spesso questo equivocare intacca la sfera dei valori più importanti, molti dei quali patrimonio della nostra esperienza cattolica, la cui affermazione non può essere ridotta a slogan per meglio servirsene quando fa comodo. Questo, tuttavia, ci responsabilizza ancora di più nel trovare ogni occasione possibile per affermare la nostra identità e i nostri punti di riferimento, per promuovere l’attenzione agli esempi da imitare e rivalutare la politica a efficace strumento di promozione umana.
Condivido pienamente.
Giampaolo
Pienamente d’accordo su tutto.
Cari saluti