Signor Presidente, mi associo ai colleghi nell’esprimere lo sconcerto per quanto è stato deciso, oggi, nei confronti di Eluana. Non mi pongo sul terreno di esprimere un giudizio nei confronti della magistratura, ritengo tuttavia che sia abbastanza problematico pensare di poterle affidare il bene della vita. Credo che occorra ragionare in altri termini, anche perché, in questo caso, ci troviamo di fronte a una situazione particolare, nella quale nessuno può negare che sia coinvolta una vita vera. Basti pensare a quanto accaduto nelle settimane scorse e a come questa vita ha reagito a una situazione di difficoltà: c’era, dunque, in essa, la capacità di reagire e di respingere elementi che potevano portarla alla fine. Era una vita che voleva vivere. Decidere di voler porre fine ad una vita è una cosa estremamente grave. Credo che occorra riflettere con attenzione e senza strumentalizzazioni, avendo cura del dolore che attraversa vicende di questo genere, perché chiunque vi sia coinvolto soffre le pene dell’inferno. Dobbiamo guardare simili casi dal punto di vista normativo e legislativo, ma avere altresì cura del dolore che li attraversa. Non basta che condanniamo quanto sta succedendo, cosa giusta ed opportuna, ma abbiamo anche il dovere di pensare e di chiederci come la società attuale che incontrerà sempre più casi di questo genere riesca, anche da un punto di vista dei servizi di accompagnamento, ad agire. Infatti non è giusto, non è possibile, non è umanamente accettabile che casi di questa natura siano scaricati completamente sulle famiglie.
Credo che dobbiamo trovare delle norme che consentano di accompagnare queste vicende avendo sempre come fine, non la morte, ma il rispetto della vita.
Onorevole, ho ascoltato il suo intervento alla Camera sul caso Englaro e vorrei complimentarmi perchè in poche parole ha posto il tema più difficile, ma forse anche il più nobile per la società: come affrontare il dolore in funzione del rispetto della vita e della dignità umana. Su questo viviamo in un mare di contraddizioni: si ritiene giusto che una persona in base ad una volontà prsunta sia lasciata morire di denutrizione ma si approvano svariate forme di accanimento terapeutico; diffondiamo la cultura secondo cui in certi casi sarebbe meglio farla finità, ma censuriamo le terapie del dolore, che mi risultano essere sempre più efficaci e meno invasive; la pubblica amministrazione è piena di servizi inutili, ma chi deve affrontare una grave malattia si trova spesso solo dal punto di vista assistenziale con la sua famiglia, abbandonati da tutti. Quello che hanno deciso sulla Englaro è inaccettabile per l’indegnità dell’uomo di disporre della vita, però non basta condannare: sarebbe più importante riflettere su quelle prospettive che ho scritto sopra per aiutare la nostra società a vincere le proprie paure, che sono spesso la genesi dei suoi mali.
Eluana presto morirà (o forse è già morta mentre sto scrivendo) sulla base di una sua decisione personale espressa (e successivamente riportata dai genitori) quando aveva piena capacità di intendere e di volere.
Mi astengo da considerazioni, che sarebbero però opportune, di carattere giuridico – costituzionale per proporre una riflessione sotto un altro aspetto.
Eluana e la sua famiglia, come anche tutti noi, siamo immersi in una cultura che considera vera vita solo quella che esprime bellezza estetica, dinamismo sportivo, forza fisica, successo materiale. Quando questi aspetti diventano impossibili, è automatico che si consideri la vita inutile, solo un peso.
Ma noi crediamo in questo? O non crediamo piuttosto in una vita che è vera quando esprime anche e sopratutto bellezza interna e spirituale, dinamismo mentale, forza morale, successo relazionale in famiglia, nelle amicizie, nel lavoro?
Non crediamo forse in una forza che si chiama solidarietà (sinonimo laico di fraternità) che ci spinge a sentirci una unica cosa con tutti gli altri uomini?
Siamo noi realmente contenti di essere animati da questa cultura e non dall’altra che ha portato alla morte di Eluana? Riusciamo a trasmettere questa serenità, questa gioia, questo entusiasmo di credere in una diversa visione della vita?
Se non riusciamo a trasmetterli, forse non possiamo anche noi non sentirci in qualche modo responsabile di questa morte.
Carissimo Savino,
non mi sono accanito nella ricerca di particolari sulla storia di questa ragazza per pudore, sono allergico alla curiosita’ morbosa che sembra che ormai abbiamo acquisito anche noi italiani.
Ma questo e’ un altro discorso …
Davanti a queste situazioni bisogna secondo me mettersi in silenzio, pronti ad offrire quel che si puo’ davanti ad una richiesta di aiuto, e rimanere accanto a chi soffre, con spirito di servizio.
Quello che pero’ mi ha fatto riflettere ieri, e’ che dopo pochi minuti dalla pubblicazione della notizia, un quotidiano on-line ha apero un “sondaggio”.
Certo un sondaggio di questi lascia il tempo che trova ( tra l’altro c’e’ anche scritto, correttamente ) pero’ mi ha colpito il numero dei partecipanti e la risposta, una, su quattro, con maggioranza assoluta alla domanda:
“La Cassazione ha autorizzato lo stop all’alimentazione di Eluana Englaro, in coma irreversibile da oltre 16 anni. Siete d’accordo con la decisione della Cassazione?”
Possibili risposte:
1- Sì
2- No
3- Una scelta del genere non deve essere mai demandata ai giudici
4- Non so
Davanti ad una cosa del genere, mi sarei aspettato un risultato diverso, magari un po’ piu’ di voti per le risposte 3 e 4, almeno nel dubbio …
Questa cosa mi ha fatto riflettere. Questo e’ il popolo della rete, fatto soprattutto di giovani, di persone che presumibilmente hanno un buon grado di istruzione.
Mi chiedo se veramente chi votava SI aveva capito la domanda. Si o NO poco conta pero’ … mi sembra una sconfitta sempre.
stefano