Voglio condividere con gli amici il fatto di aver vissuto una fine settimana molto interessante.
Devo manifestarvi la più viva soddisfazione per com’è andato l’incontro che attraverso “ Persona è futuro”, abbiamo su: “Costituzione e persona”. All’incontro di Venerdì erano presenti oltre sessanta persone, provenienti da diverse parti d’Italia Abbiamo avuto la fortuna di ascoltare relatori d’alto livello che hanno messo in luce la stretta connessione che esiste tra la nostra Costituzione e il principio-persona. Vedremo come diffondere e socializzare i contenuti di questo convegno.
Sabato ho avuto la fortuna di partecipare a Caltanissetta, ad un incontro organizzato da un gruppo di giovani sull’impegno dei cattolici in politica alla luce della “Caritas in Veritate”.Mi sono trovato in un ambiente meraviglioso attraversato da una passione politica e civile idealmente motivata. Ci sono giovani che si avvicinano e partecipano al dibattito politico con una tensione morale, etica e ideale che rallegra il cuore.
La notizia che la senatrice Dorina Bianchi lascia il Pd perché ritiene che nell’Unione di Centro possa meglio che altrove esprimere le sue convinzioni di cattolica moderata, è indicativa e conferma che il lavoro, faticoso, della Costituente sta dando alcuni frutti. Dobbiamo ora spingere di più per arrivare, prima della fine dell’anno prossimo, alla costruzione di un nuovo soggetto politico, dentro il quale l’ispirazione cristiana può dispiegarsi in un rapporto costruttivo con quella laica e liberal-democratica. Non dobbiamo costruire un partito cattolico o rifare la Democrazia Cristiana, ma un soggetto nuovo, un partito di programma.
Questi tre eventi mi hanno stimolato una riflessione sul rapporto tra cattolici e impegno politico che offro alla vostra riflessione, sulla quale mi attendo i vostri contributi.
UNO SGUARDO AL PASSATO
L’impegno sociale e politico ha sempre interrogato e tante volte lacerato il mondo cattolico, sin da quando nell’ottocento s’è iniziato a parlare dell’Unità d’Italia e poi, in seguito, con la presa di Roma da parte del neonato Regno d’Italia si apri la cosiddetta “questione romana”. I cattolici per lungo tempo rimasero estranei alla partecipazione politica, mentre organizzarono un forte movimento sociale.
Com’è noto non furono percorsi facili e l’avvento della democrazia politica non sempre fu visto con entusiasmo, anzi vi furono manifeste ostilità.
Il passaggio tutto italiano dal Movimento cattolico ottocentesco, all’Opera dei congressi, al Non–expedit, al Partito popolare fu un processo evolutivo che portò, soprattutto per opera di Sturzo, del Toniolo e di altri ad assumere la democrazia come elemento importante e condiviso dall’insieme dei cattolici italiani.
Poi ci fu la parentesi fascista, vissuta con sofferenza e resistenza dai cattolici democratici, anche se non bisogna dimenticare che vi furono cedimenti clerico-moderati che pensavano di aver la forza di imbrigliare il nascente regime, ma fu il Fascismo ad imbrigliare gli italiani e a privarli della loro libertà. Cedimenti e sottovalutazioni che furono riscattati dalla partecipazione attiva alla resistenza, alla guerra di liberazione e a quella partigiana, in cui spiccano figure meravigliose come quella di Teresio Olivelli che con la sua “Preghiera del ribelle” chiarì in maniera esemplare il modo, la forma e l’idealità della partecipazione dei cattolici alla lotta antifascista: ribelli per amore.
Venne l’impegno con la Democrazia cristiana a cui si deve rivendicare il gran merito storico di aver contribuito in modo determinate alla costruzione della democrazia per tutti. Il punto più alto fu certamente la partecipazione alla Costituente e l’apporto fondamentale alla costruzione della nostra carta
Ci furono gli anni del Governo, della scelta dell’occidente, dell’industrializzazione e modernizzazione del paese
Sono i passaggi di una sofferta, ma nobile storia, che dimostra la tensione civile e politica dei cattolici nel sociale e in politica, anche se ad un certo punto si è affievolita e perso capacita d’incidenza e la fine dell’unità politica, sino successiva diaspora attuale.
Una storia che è stata in parte rimossa e che molti giovani non conoscono se non per sentito dire o per averla letta su qualche libro di storia. Storia di persone e movimenti che s’intreccia con i processi di modernizzazione del Paese e che è finita.
Sono però convinto che oggi il tema dell’impegno sociale e politico dei cristiani andrebbe rideclinato, in forme e modi diversi dal passato tenendo conto del Concilio Vaticano secondo e dello sviluppo che ha avuto attraverso il magistero di grandi pontefici come Giovanni XXIII°, Paolo VI°, Giovanni Paolo I°, Giovanni Paolo II° e ora di Benedetto XVI°, ma anche con i temi e i problemi di questo tempo che viviamo. La globalizzazione, la pervasività delle tecniche e il sovrapporsi alla questione sociale, quell’antropologica.
Alle spalle dell’impegno politico dei cristiani in Italia ci sono esperienze di cui dobbiamo tenere conto e persone come Sturzo, Mazzolari, Grandi, De Gasperi, La Pira, Dossetti, Milani, Pastore, Moro, Fanfani e tanti altri, sapendo che esse non sono ripetibili, anzi ogni sforzo di restaurazione finirebbe per marginalizzarne l’insegnamento civile, sociale e politico. Il loro pensiero e l’esempio resta vivo nella misura che i cristiani d’oggi lo inverano nel presente e lo innovano rispetto ai problemi della nostra contemporaneità.
FARE I CONTI CON IL PRESENTE
Il nostro compito è di fare i conti con il presente, con i suoi problemi e le speranze che lo attraversano. Siamo oggi immersi in molti cambiamenti e avvolti in una crisi economica e sociale molto profonda che sta cambiando le nostre società, le relazioni tra le persone e quelle tra gli Stati.
Cambia in profondità il rapporto tra l’uomo e se stesso e la natura.
Dalla caduta del muro di Berlino all’autunno dell’anno scorso, l’Occidente ha vissuto in una stagione dominata dalla grande illusione che ormai la storia fosse terminata e che le scienze e la tecnica gli offrissero tutte le possibilità : un sogno prometeico dominato dalla logica economicistica del capitalismo-liberista. Si è pensato che liberandosi da “lacci e laccioli” in economia e sul piano etico, più sarebbe cresciuto il benessere per tutti.
Non è stato così ed oggi siamo inquieti e preoccupati.
Anche dentro il mondo cristiano si è vissuto una certa illusione che contrasta con l’insegnamento conciliare e magisteriale. Molte volte ha pensato di doversi attrezzare allo ”scontro di civiltà”, che si potesse vivere con meno Stato e più mercato e per tale via soddisfare i problemi sociali. Inoltre, la visione relativista ha fatto breccia anche dentro il nostro mondo.
Ci siamo molte volte omologati al secolo. Abbiamo perso il segno della profezia.
Ora, la crisi economica con il suo carico di sofferenze sta facendo da detonatore e fa emergere i problemi nascosti riportandoci al dato di realtà: vediamo il mondo per quello che esso è, nelle sue debolezze e nelle sue potenzialità.
In questa situazione, di fronte allo schiudersi dei nostri occhi, e sulla base delle sollecitazioni che vengono dalla “Caritas in Veritate”, i cristiani e soprattutto quelli giovani sono chiamati ad entrare in campo.
Questo richiede che chi di noi che sta sulla scena pubblica da molto tempo, anche se con ruoli e funzioni diverse, il coraggio di aprire nuove vie, d’accompagnare e promuovere una nuova classe di politici, come ha esortato il Papa nel famoso discorso di Cagliari.
Negli ultimi vent’anni molti cristiani, per svariati motivi e per le delusioni subite, si sono ritirati alla vita privata, si sono racchiusi dentro le esperienze dell’impegno sociale e caritativo o immersi nella dimensione ecclesiale, rasentando a volte una spiritualità disincarnata, oggi, soprattutto i giovani che non hanno alle spalle fardelli del passato, le nostalgie e i ricordi devono dedicarsi ad un nuovo impegno politico e sociale.
C’è l’esigenza mettere in campo un nuovo pensiero e una diversa prassi politica, in modo da contribuire con altri di buona volontà a guarire i mali di un liberismo, di uno scientismo e di una prassi politica molte volte amorale.
La politica sembra oggi -vale in parte anche per l’impegno sociale- sembra essere attraversata da un “male sottile” e fortemente pervasivo che ne mina le radici che è dato dall’affermarsi di una visione tutta centrata sulla prassi, sulla quotidianità, sugli interessi personali o di gruppo e che evita il riferimento ai valori, considerati come il residuo di una sorta di romanticismo. Sembra quasi che con il superamento e la fine delle ideologie non ci sia più spazio per una narrazione, per un racconto che motivi il fare e il decidere. La stessa nozione di bene comune è sovente parcellizzata e frammentata e più che verso il “comune” e il condiviso, sembra che tutto debba tendere al privato e al “particolare”.
Non possiamo allora meravigliarci se la corruzione ritorna ad essere presente.
Da questo modo di fare e pensare siamo molto turbati, eppure non possiamo sottrarci, anzi i cristiani devono, senza presunzione e con quel tanto d’umiltà che rende mite e non passivo l’impegno, entrare nella sfera pubblica per segnare la possibilità di una dimensione politica che non dimentichi i valori, i principi etici, il rispetto dei diritti umani, la solidarietà, la libertà, la fraternità e la costante ricerca del bene comune.
Il riferimento ai valori e alla dimensione etica della politica non significa consegnarsi ad una sorta d’idealismo disincarnato, ma al contrario obbliga a praticare quel “realismo politico” proprio del cristianesimo. Un realismo che conosce l’esistenza del male e che non può essere mai del tutto eliminato, fino a quando verrà la fine dei tempi e tutto sarà giudicato e portato a compimento e si avranno “terra cieli nuovi”.
Il cristiano deve sempre vivere nella dimensione escatologica di un Regno che è all’opera e che raggiungerà la sua pienezza, deve cercare di essere un uomo costantemente aperto al futuro, a ciò che viene, ed essere pertanto responsabile del male e del dolore del mondo.
Nel vivere nell’attesa, il cristiano deve sapere che in questo transito diventa necessario governare la contingenza, in un reciproco affidamento con chi ci sta accanto.
Per questa via si disegna uno stile cristiano dello stare in politica che diffida delle salvezze umane, ma che spera e vive nell’amore verso il prossimo e i luoghi in cui gli uomini vivono. Il cristiano conosce il male, sa che potrebbe esserne sedotto, ma cerca di non consegnarvisi.
San. Paolo ci offre un’indicazione, quando, nella seconda lettera ai Tessalonicesi, scrive: “ Il mistero dell’iniquità è gia in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo da chi finora lo trattiene”. Su questo versetto si sono scritte molte cose e diverse e molteplici sono state le interpretazioni.
Il tema del “katechon” ha attraversato la riflessione della teologia politica e non solo. Non disdegnando anzi attingendo a questa riflessione, possiamo collocare e vedere in questo versetto paolino un riferimento alla politica e all’agire politico che deve avere la capacità di trattenere il male, di limitarlo e nello stesso tempo creare le possibilità della giustizia, del bene, della verità e della libertà come propedeutica all’accoglimento del Regno, in tutta la sua pienezza.
Compito che può sembrare immane, ma che dobbiamo vivere con lietezza, con serenità e che si potrebbe riassumere nella frase bonofferiana di “resistenza e resa”, intesa come resistenza al male all’ingiustizia e resa alla certezza del compimento.
Lo stile cristiano dello stare dentro l’impegno politico è quello della perseveranza e dell’attesa.
È stato scritto che in virtù di quest’attesa i cristiani potrebbero affievolire la speranza. I cristiani sicuramente si affidano, ma sperano e operano perchè l’attesa termini presto, perchè il male può essere vinto nella carità, nella fraternità e nella dedizione al bene comune.
L’IMPEGNO POLITICO
Il tema del rapporto fra ispirazione cristiana e impegno politico ha da sempre interpellato i cristiani, è un tema che in forme di diverse ha attraversato costantemente ogni esperienza politica, anche sul piano personale. Le nostre valutazioni e riflessioni sono il frutto di una stratificazione molto lunga in cui alcuni temi sono rimasti presenti ed altri si sono evoluti:
- Rimane permanente il riferimento alla fede: il cristianesimo è sostanzialmente l’esperienza di un incontro personale e comunitario con la persona di Gesù tramite e con la Chiesa;
- È evolutivo quello che si riferisce alla cultura. Si potrebbe affermare che non esiste una cultura cristiana, ma un pensare d’ispirazione cristiana che si confronta ed evolve nel confronto con altre culture e con i dati del mutamento sociale, economico e politico.
La relazione tra la permanenza della fede e il suo esplicitarsi culturalmente nelle varie forme del pensiero, ha consentito di fare l’attraversamento dei secoli e negli ultimi tempi il passaggio dalla cristianità alla secolarizzazione, e, ora, di essere in grado di cogliere tutte le dinamiche del cosiddetto post moderno e quel fenomeno che è chiamato il “ritorno di Dio” nella sfera pubblica, da cui sembrava essere stato espulso.
Questo attraversamento che è fatto di vita, di studio, d’impegno sociale e politico, di spiritualità ci ha portato a costruire un’idea di laicità molto aperta ed estesa e che consente oggi di affermare che il nostro impegno politico non è dato dalla fede, ma che da lei è ispirato.
Ciò che rafforza la mia laicità è la capacità di tenere distinta la dimensione della fede da quella della cultura. Sappiamo che caratteristica della fede cristiana incarnarsi in culture diverse e pertanto di poter affermare che c’è una cultura d’ispirazione che vive ed è propria dell’Europa e dell’Occidente, ma che vi è un’ispirazione cristiana che penetra anche in culture diverse dalla nostra.
Ridurre il cristianesimo alla dimensione dell’occidente è un errore in quanto mette delle paratie e dei limiti all’espansione e inculturazione della fede, inoltre è una limitazione della dimensione cattolica, universale. Usare il crocefisso come una spada significa, di fatto, porsi sul terreno di chi lo vorrebbe togliere.
Il cristiano deve essere sempre portato a tenere conto di questa dimensione ed è pertanto persona in dialogo per sua natura.
Si è molto parlato di radici cristiane da tutelare e salvaguardare, ed è un tema da non sottovalutare, ma non può essere gestito in termini di difesa o per generare delle discriminazioni. Quando si assumono atteggiamenti di difesa e di separazione, si corre sempre il rischio di assumere posizioni integraliste e di fomentare i fondamentalismi altrui.
L’integralismo è il dimenticamento delle capacità della fede d’animare e ispirare situazioni diverse, è mettere in gabbia la colomba dello Spirito santo
LE TRASFORMAZIONI DEL PAESAGGIO RELIGIOSO E L’ISPIRAZIONE CRISTIANA
Normalmente quando si riflette sull’impegno politico dei cristiani, ci si sofferma giustamente sui cambiamenti sociali, economici e politici, molto poca sulla dimensione religiosa e sui suoi cambiamenti.
L’Europa è dentro un processo di profonda trasformazione che non riguarda solo i cambiamenti sociali, politici ed economici e il passaggio da un paradigma tecnologico ad un altro, ma anche il paesaggio religioso. Il mondo laico si è trincerato dentro lo slogan “fare come se Dio non esistesse” e pensa di aver risolto il tema. La multireligiosità invece muta molte cose e interferisce sulla dimensione della convivenza. Tocca ai cristiani sulla base della loro sensibilità affrontare con serenità questo tema, anche per le influenze che potrà avere sulla dimensione politica
Il paesaggio è in cambiamento:
- C’è un passaggio da una pluralità religiosa cristiana, ad una pluralità che non è solo cristiana e che propone una pluralità d’etiche e culture segnate dalla dimensione religiosa. Religioni che sono radicate e sorte fuori dal contesto europeo;
- I tradizionali sistemi di relazione e di presenza sociale, politica e culturale che ruotavano attorno un pluralismo religioso di matrice cristiana, dal nuovo pluralismo religioso sono interrogati;
- Si è avviato un processo che tende a mettere in movimento l’orizzonte condiviso e segnato dalle antiche confessioni religiose che in ogni caso erano definite da un riferimento agli stessi testi sacri, la Bibbia;
- La minoranza islamica che è stata, dopo la cacciata dalla Spagna, confinata nei balcani è oggi dispersa nella società ed è presente nelle nostre città e sempre più le moschee sorgono accanto alle Chiese. Non basta un referendum contro i minareti per negare questa presenza.
Viviamo in paesaggio che è in profonda trasformazione e che non sarà possibile frenare con i respingimenti o con l’islamofobia. Occorre tenere presente che queste nuove presenze incidono, in collegamento con la secolarizzazione, sulla vita collettiva: le Chiese erano presenti nei momenti centrali della vita umana come i battesimi, i matrimoni, la morte. I riti religiosi accompagnavano la vita di credenti e non, erano anche dei riti civili.
Oggi queste esperienze di vita sono sempre più vissute fuori di un ambiente comunitario e vanno prendendo forme nuove e nuovi modi di nascere, sposarsi, procreare e morire. Le tensioni che si creano sulle questioni bioetiche sono il segno di un mutamento culturale molto profondo, ma anche di una visione di vita.
Di fronte a questi cambiamenti che incidono nella coscienza delle persone i cristiani devono mettersi in difesa, oppure elaborare un nuovo pensiero politico? Non è facile rispondere a questa domanda perché propone una serie di nuove problematicità sul piano giuridico, costituzionale, economico e politico.
Bisogna avere il coraggio di essere una minoranza creativa, non una minorità che cerca tutele e garanzie, ma una minoranza che è cosciente di sé, della propria storia, tradizione, vocazione e missione e che s’impegna con decisione nella nuova realtà del mondo.
Questo comporta atteggiamenti e forme d’azione diverse da quelle del passato, ma soprattutto richiede una nuova presenza dei laici cristiani, una capacità a rischiare per essere quello che sono. Troppe volte si è usato l’essere cristiano come una sorta di coperta di Linus, come una carta di credito. Oggi è richiesto il coraggio di rischiare e di uscire dal politicamente corretto.
La presenza politica ha bisogno di una nuova presenza culturale dei cristiani, capace di un confronto senza timori con i processi della nuova modernità, non solo nelle accademie o nei circoli riservati, ma dentro i processi della comunicazione sociale e nella società. Bisogna avere il coraggio e la voglia di presentare il pensare cristiano non come un qualche cosa di separato ma d’esenziale al dibattito pubblico. Servirebbe anche che crescesse tra i cristiani una visione più ecumenica e fraterna e la capacità di un dialogo con le altre religioni e con il pensiero laico.
L’impegno è quello di costruire un nuovo soggetto politico in cui l’ispirazione cristiana giochi un ruolo importante nel costruire la prospettiva di un nuovo umanesimo per cristiani e laci. Speriamo di farcela.
Grazie Onorevole Pezzotta per aver alzato il tono del confronto in questi tempi in cui si discute soltanto di posizionamenti geometrici. La questione dell’identità è fondamentale per capire il tipo di partito che verrà fuori dai due percorsi (dell’UDC e di Alleanza per l’Italia).
Si tratta di modelli diversi e sono molto preoccupato del cosiddetto “modello plurale” che già abbiamo sperimentato negli ultimi quindici anni con l’Ulivo e con tentativi simili.
Appartengo alla schiera di cittadini che credono invece nella necessità di un modello fortemente “identitario” nel quale l’ispirazione cristiana non è lasciata alla libertà di coscienza né tanto meno un optional che può anche non esserci.
Credo invece che l’omogeneità sia un elemento costitutivo del nuovo partito e che tale omogeneità si costruisca sulla base dei valori della Dottrina Sociale della Chiesa.
Tutto ciò non significa negazione del dialogo o esclusione di chi non si riconosce in tale prospettiva, ma fondare un soggetto politico su basi solide che consentano un dialogo nella trasparenza e nell’onestà intellettuale senza nascondimento soprattutto nella difesa dei valori non negoziabili.
Spero tanto che su questi temi si apra un confronto serio al di là delle discussioni su “centro”, “sinistra”, “destra” che rischiano ormai di diventare contenitori vuoti!
Auguri a tutti di Buon Natale!
Oreste De Pietro
Il richiamo ai laici cristiani ad intervenire nell’agone politico-culturale e confrontarsi con le “altre” forze in campo senza pretendere favoritismi dallo Stato mi pare ovvio e pacifico se parliamo di un soggetto politico di ispirazione cristiana che per imporsi può solo usare uno strumento: il voto dei cittadini italiani. Ma non è che Pezzotta alla fine del lungo “sermone” confonda il proprio vagheggiato soggetto politico cattolico con il suo ideale di perfetta comunità (cioè Chiesa) cattolica? E’ stata la Chiesa Cattolica che di fronte allo Stato italiano ha preteso per legge (Concordato di Craxi) la sottolineatura della speciale relazione tra religione cattolica e popolo italiano?
“Bisogna avere il coraggio e la voglia di presentare il pensare cristiano non come un qualche cosa di separato ma d’esenziale al dibattito pubblico.” dice Pezzotta. Benissimo, allora poniamo un esempio: se io fossi uno svizzero direi che il “no” ai minareti è dettato dal fatto che come cattolico non posso separare la mia fede dal dibattito pubblico inerente al decoro urbano e alla tutela del paesaggio? Poi Pezzotta mi criticherebbe perchè non sono stato “profetico”!
Pezzotta usa il birignao degno del miglior Tettamanzi: dobbiamo continuare così o non sarebbe più giusto, più “vero”, più “profetico”, più rispondente ai “segni dei tempi”, invece fare colì?
“….Ci siamo molte volte omologati al secolo. Abbiamo perso il segno della profezia.”
“….Bisogna avere il coraggio di essere una minoranza creativa, non una minorità che cerca tutele e garanzie, ma una minoranza che è cosciente di sé, della propria storia, tradizione, vocazione e missione e che s’impegna con decisione nella nuova realtà del mondo.”
Carissimo Savino, delle molte e condivisibili analisi e proposte che esprimi nella tua riflessione ho scelto due, delle tue, frasi che mi sembrano vere ed attuali anche nella mia esperienza di vita. Coniugare profezia con realismo politico è la fatica richiesta a tutti e quindi anche ai cristiani, per tirar fuori la politica dalle attuali “sabbie mobili” in cui l’abbiamo sospinta…
Un abbraccio…
Caro Pezzotta, la ringrazio per questa riflessione, trovo che in essa si trovi in nuce un “manifesto” che io personalmente mi sento di condividere molto più di altri circolanti.
grazie presidente
spero proprio di poterla avere ancora una volta qui a Caltanissetta…
ci aiuti anche lei a crescere a presto
Caro Savino,
seguendo il filo della tua riflessione credo si possa aggiungere un altro evento a quelli da te richiamati in quanto non mi pare sia marginale la notizia che Vittorio Feltri ammetta di essersi sbagliato su Dino Boffo e chieda pubblicamente scusa.
Nella pesante campagna di denigrazione personale e professionale condotta da Feltri contro Dino Boffo, che oggi riconosce come “giornalista prestigioso e apprezzato”, “non implicato in vicende omosessuali”, nulla è stato risparmiato pur di conseguire il duplice obiettivo di provocarne le dimissioni da Direttore di Avvenire e, attraverso lui, intimidire la Chiesa per la sola e semplice ragione che si erano permessi di dire, con grande prudenza, quello che molti cattolici pensavano delle vicende private dell’uomo pubblico Berlusconi.
Per quanto la scuse di Feltri siano un fatto importante mi è difficile considerare questo come un atto di pentimento dettato da ragioni nobili e condivisibili. Anzitutto perché non pone rimedio, ne può farlo, al danno che sul piano umano e personale ha provocato a Dino Boffo, e poi perché, dichiarando di essere stato ingannato assegna la responsabilità del male che è stato fatto ad altri, rafforza di sé l’immagine del moralista fustigatore integerrimo quale in realtà non è.
Anche se sarebbe un fatto logico e apprezzabile, non credo serva a qualcosa reclamare le dimissioni di Feltri. Ciò che serve è interrogarci sul rapporto che esiste, ma soprattutto se esiste, tra informazione e verità e domandarci come sia possibile conoscere la verità dei fatti quando il padrone di Feltri (Silvio Berlusconi è il proprietario de “Il Giornale), che è anche padrone diretto e indiretto (come Presidente del Consiglio) di quasi tutti i mezzi di informazione in Italia, ha fatto della menzogna a se stesso e al Paese la regola fondamentale della gestione del potere e del rapporto con gli altri.
Fintanto che permane questa condizione di negazione della verità e di costrizione della libertà di espressione, resta per tutti, come ha detto in una recente occasione il Direttore del sito “piuvoce.net” “cattolici in rete”, Domenico Delle Foglie, il dovere civile e morale di “resistere, resistere, resistere contro tutti i Feltri del mondo”.
Essendo però la speranza l’ultima a morire aggiungo che tutti, in particolare i cattolici, hanno oggi il dovere di costruire qualcosa di nuovo per essere pronti domani ad assumere la responsabilità di lavorare in quella alta forma di carità che è l’impegno politico al fine di ampliare gli spazi della responsabilità, del bene comune, della solidarietà, della libertà e della verità.
R. Vialba
Prima di tutto il mio rammarico per aver dovuto lasciare in Convegno dopo la seconda relazione. Attendo con interesse gli atti, perché mi è sembrato che nel sottotitolo “Non tutte le Riforme sono un progresso” potesse celarsi un velato conservatorismo.
Gli spunti che proponi in questo post sono numerosi.Vorrei estrarne un paio, per iniziare una riflessione insieme agli amici, che sollecito.
Le cose che dice Savino meritano un dibattito sufficentemente ampio.
Rimane il riferimento alla fede…
E’evolutivo quel che si riferisce alla cultura…
E’ in fondo il grande tema dello storicismo, che ha attraversato tutto il Novecento. Che deve essere considerato un utile strumento interpretativo della realtà, e non diventare un feticcio.
Da ragazzo ascoltai una bellissima “lezione” di Umberto Terracini,che citava,a questo proposito,Amedeo Bordiga. Si diceva,in sostanza, che chi non sa interpretare i germi del cambiamento presenti nella Società,prepara nuovi totalitarismi e,successivamente,nuove rivoluzioni.
Ho sempre riflettuto su queste parole,che accetto solo in parte. Questa impostazione dei comunisti occidentali non è sicuramente riconducibile al socialismo reale. Tuttavia, credo che possa essere applicata senza eccessive preoccupazioni,come utile strumento,appunto,solo alle cose di tutti i giorni,alla politica amministrativa in senso stretto. Quando si parla di temi fondamentali,di massimi sistemi,occorre una riflessione più profonda,che coinvolge anche le nostre radici religiose.Non dobbiamo cadere,e scadere,nel meccanicismo. O nell’opposto,lo storicismo spiritualistico,che porta comunque ai medesimi esiti.L’autolegittimazione della “Storia”,avulsa dalle storie degli uomini,e sopratutto degli umili.Il dualismo nato dal pensiero (geniale e fecondo) di Hegel non è ancora stato risolto sul piano filosofico.
Un altro passaggio vorrei sottolineare,ed è quando tu dici:
“Oggi è richiesto il coraggio di uscire dal politicamente corretto.”
Il politicamente corretto,in Italia, è oggi una incrostazione sedimentata da sessant’anni di tentativi,velati ma riusciti,di cambiare la Costituzione materiale a vantaggio di pochi.
Se l’enunciato della Costituzione rimane valido,non si può tuttavia negare che la sua applicazione ha preso tutte altre strade.
Siamo in presenza di nuove e più odiose aristocrazie ed oligarchie,perché si celano vigliaccamente dietro la maschera della democrazia.
Oltre non vado,perché non la finirei più.
Sarei contento dell’interlocuzione degli amici.