Rispetto al referendum sulla modifica costituzionale, sono stato defilato poiché dominavano nel mio pensiero molte perplessità, poi con la ragione e non con il cuore ho votato Si per evitare all’Italia una situazione di incertezza politica in un momento che per il nostro Paese non si mostra facile. A risultati avvenuti ho trovato che i miei dubbi erano molto diffusi e che forse anche da parte mia andavano messi in campo con maggiore decisione. Non mi convince la favola del populismo montante che mi sembra solo una giustificazione per le carenze che hanno dominato l’area del riformismo, poco attenta ai problemi sociali e al malessere che attraversa i ceti popolari che da tempo si sentono abbandonati. È sicuramente utile avere dei buoni rapporti con gli imprenditori che rappresentano una parte importante del Paese, ma la stessa attenzioni bisognava esprimerla anche versi altri soggetti e in particolare verso coloro che soffrono di più questa situazione di cambiamento in cui ci troviamo. Qualche visita all’Ilva o all’Alcoa in Sardegna non avrebbe guastato.
Fatte le mie rimostranze e recitato il mea culpa per il poco impegno, tento una valutazione sui risultati dicendo che non sono molto interessato alchimia del dopo di cui sono pieni i giornali, mi interessa capire, se è possibile, le ragioni che hanno guidato questo voto. Non credo che tutto sia dipeso dai limiti della proposta e dall’attivismo debordante di Renzi, ma dal fatto che ci troviamo, in compagnia con i maggiori paesi dell’occidente industrializzato e finanziarizzato di vecchia tradizione democratica, dentro una profonda crisi della politica, una crisi che ormai è diventata di sistema.
Manca una visione orientativa e questo rende difficoltoso fare scelte di forte impronta riformatrice e che non sapendo bene dove si sta andando ci si consegna a coloro che promettono di proteggerci attraverso discorsi conservativi, reazionari, xenofobi e protezionistici. Il vecchio ordine è andato in frantumi, questo non sarebbe un problema se si sapesse a quale ordine si tende. Non basta la gestione, seppur necessaria del presente.
Da diversi anni la democrazia rappresentativa vive in una situazione di crisi che ha finito per rappresentarsi solo nel momento elettorale, importante e indispensabile ma che non può essere esaustivo. Una democrazia ha bisogno, oltre che di elezioni, di norme e regole di partecipazione. Stiamo giustamente cercando di definire una democrazia decidente, ma questo è possibile se la politica assume un ruolo servente e non di puro e semplice comando. C’è un bisogno urgente di responsabilità diffuse, dirette o indirette, che mettano in costante relazioni le classi dirigenti con la varietà dei ceti popolari.
Il sistema politico italiano ha dato l’impressione di avere smarrito il baricentro del bene comune e dell’interesse generale. Si è pensato che la convergenza delle differenze potesse essere sostituita con il carisma della leadership. È così saltata la mediazione e pertanto il convergere di tutti su obiettivi comuni. Si è voluto fare da soli, ma questo crea lacerazioni che si protraggono nel tempo e genera antagonismi e anti-politica.
In una democrazia matura, libera dai fantasmi del passato, dai pregiudizi e dai rimasugli di ideologie morte, non esistono traditori o nemici, ma solo legittime differenziazioni, che la politica ha il compito di ricomporre.
Si è stati vittime di una visione maggioritaria mal declinata e peggio praticata e dall’essere una forma nuova ha generato frammentazione avendo praticato il principio del “chi non è con me è contro di me”. In questo modo si può conquistare il potere, ma diventa difficile governare.
Quello che colpisce in questa situazione è l’assenza della presenza delle culture che hanno generato la Repubblica e la Carta Costituzionale che sono, purtroppo, diventate il campo delle nostalgie, delle impossibili rifondazioni e di risentimenti , invece che essere alimento culturale del nuovo pluralismo. Mi riferisco particolarmente alla mia area culturale quella dei cattolici – democratici che sembra aver perso la capacità di essere propositiva e mobilitante.
Nonostante tutto non mi rassegno al pessimismo e sono convinto che è ancora possibile dare senso e forza alla democrazia e alla politica. Forse bisogna che ci rimbocchi le maniche e si dia molto affidamento alle nuove generazioni.
Mi è dispiaciuto non poco leggere del si anche se sofferto di Savino perché mi meraviglia molto come si possa aver sottovalutato un peccato originale della riforma quale è stato l’approvazione a maggioranza per giunta risicata con l’appoggio di pochi transfughi. Ma Savino possibile che non ti dia passato per la mente un aspetto così grave ed importante. Già solo questo avrebbe dovuto quale danno potenziale conteneva e cioè che come avviene per la scuola da venti anni e forse più ogni governo che arriva riforma la precedente con una differenza di fondo però che la Costituzione come dissero i costituenti è la casa di tutti e deve continuare ad esserlo. Ormai la frittata è fatta anche con la vittoria del no perché gli italiani sono stati divisi in guelfi e ghibellini e sappiamo i rischi che propamano certe spaccature specie quando avvengono con personaggi che non si sentono al servizio della nazione ma esattamente l’opposto.
Approfitto per aggiungere per Vialba che il referendum doveva rimanere tale chi , sin dal primo momento l’ha caricato di significato politico è stato Renzi quando da guascone ha legato all’approvazione la sua esistenza politica ma chi quando e chi di quelli schierati col no hanno detto di voler costituire una coalizione politica? Con profondo rispetto delle vostre rappresentazioni saluto cordialmente entrambi
Luigi viggiano
Non credo che se Savino avesse espresso e resa pubblica prima del voto la sua scelta per il “sì” al referendum i risultati sarebbero stati diversi, in quanto non erano più in discussione le modifiche alla Costituzione ma se Renzi doveva o meno essere mandato a casa. Il risultato è quello che conosciamo, il 60% dei voti ottenuti dai 4/5 delle forze politiche sono stati per il “no” a Renzi, mentre Renzi con il “si” ha ottenuto il 40% e dunque ha perso.
A parte il tentativo che fa Savino per capire le ragioni del voto, che non è ovviamente né esaustivo né esauriente, propongo le seguenti riflessioni, probabilmente più attinenti all’alchimia della politica che altro:
1) le forze politiche che hanno vinto il referendum non sono e non rappresentano una coalizione politica e un’alternativa di Governo. Di certo il no ha vinto ma non si può dire che la vittoria sia di Salvini, oppure di Berlusconi o di Grillo, perchè oltre a loro c’è una parte del PD e quasi tutti i cespugli che stanno alla sinistra del PD. E’ una ben strana e variegata coalizione che non ha vinto le elezioni politiche, ma solo il referendum. Per dimostrare di essere coalizione politica e alternativa di governo si devono presentare alle elezioni politiche, che mi auguro avvengano il più presto possibile, indicando programmi e proposte di Governo. In tal caso, se vinceranno, sarà per volontà popolare che governeranno. Sicuramente non ha prevalso Renzi, ma il 40% dei voti per il sì è in un campo sicuramente più omogeneo di quello del no.
2) l’esito del referendum è destinato a sconvolgere il quadro politico essendo profonde le fratture che si sono manifestate in campagna referendaria all’interno del PD, tra il PD e i cespugli alla sua sinistra, ma anche nel centro destra, in particolare in Forza Italia e tra questa e Salvini, meno nel M5S che resta immobile in attesa dell’investitura elettorale per governare. Nel PD l’evidente frattura in essere aspetta solo di essere sanzionata in separazione, e ciò avverrà quando sarà chiaro che qualcosa di nuovo potrà nascere assieme a pezzi dei cespugli della sinistra. In questa prospettiva suscita interesse l’iniziativa di Giuliano Pisapia per costruire un nuovo contenitore politico destinato ad allearsi con ciò che resterà del PD, ma la sinistra alla quale questa proposta si rivolge è percorsa da almeno altre due tensioni: la prima che guarda al M5S come possibile, anzi auspicabile approdo, la seconda che dice “mai con questo PDR (Partito di Renzi) restiamo da soli”.
3) per molte ragioni ho scelto di non aderire ad alcun partito ma di praticare la professione di “apolide politico” consapevole di essere obbligato, pur con molte riserve ed esplicite critiche, a votare PD per mancanza di alternative credibili. In questa stagione di cambiamenti, in questo caso non cambiamenti d’epoca come dice Papa Francesco, ma semplicemente epoca di cambiamenti nell’essere della politica, mi auguro si verifichi, riguardo al PD, quanto auspica Massimo Cacciari, cioè quella della consensuale divisione del PD tra la minoranza che potrà confluire nell’iniziativa di Pisapia e la maggioranza renziana che potrà costituirsi come forza politica di centro sinistra. Se tutto ciò riguarda l’architettura del sistema politico del centro sinistra, per quanto importante possa essere è solo la premessa per una diversa proposta politica che non potrà prescindere dal dare risposte ai molti temi qui richiamati da Savino, ma anche da Cacciari nelle sue recenti interviste e da Carniti nel suo intervento alla CISL dello scorso 6 dicembre.